The Love Trainer pt7: disturbi alimentari e amore
Ilaria Rebecchi | Giu 07, 2013 | Commenti 0
Con The Love Trainer, la Dottoressa Anna Gallucci, Psicologa clinica e Psicoterapeuta Analitico Transazionale in formaizone, ci svelerà costantemente le ragioni, le cure, i perché e i se dei pericoli e delle patologie amorose, dagli affetti smisurati alle gelosie, dal mal d’amore alle conseguenze sul sesso.
DISTURBI ALIMENTARI E AMORE
Mi autodistruggo per farmi amare
Tra i disturbi psiachitrici maggiormente riconosciuti d alla ricerca psicologica scientifica e oramai frequenti nel nostro panorama mondiale vi sono i Disturbi Del Comportamento Alimentare.
In Italia più di 3 milioni di persone ne soffrono, anche se il numero è in costante aumento. Nell’ 85% dei casi si tratta di donne adulte, adolescenti e bambine. Negli ultimi anni il fenomeno riguarda anche gli uomini.
Nel DSM-IV TR essi sono definiti I disturbi dell’alimentazione (DCA) possono essere definiti come persistenti disturbi del comportamento alimentare o di comportamenti finalizzati al controllo del peso, che danneggiano la salute fisica o il funzionamento psicologico e che non sono secondari a nessuna condizione medica o psichiatrica conosciuta.
Secondo l’ultima versione del DSM IV TR, che è il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, i DCA comprendono l’Anoressia Nervosa (AN), la Bulimia Nervosa (BN) e il Disturbo dell’Alimentazione Non Altrimenti Specificato (DANAS), che raggruppa i disturbi alimentari che non rientrano nelle definizioni precedenti, ma che sono comunque clinicamente significativi; tra questi ultimi degno di nota è il Disturbo da Alimentazione Incontrollata (DAI), o in inglese Binge Eating Disorder (BED), che per ora è inserito solo in appendice B del DSM IV TR, quale categoria che necessita di ulteriori studi.
In breve vorrei illustrare quali sono le caratteristiche principali di ognuno di essi.
Anoressia
Di solito si comincia con una dieta dimagrante: tutto ciò che si desidera, apparentemente, è migliorare e controllare la propria immagine. La persona anoressica non si sente mai abbastanza magra.
Tra i sintomi, la fame viene negata, si cade nel calcolo ossessivo delle calorie e nel controllo spasmodico del peso. Ci si illude che cambiando il proprio corpo sia possibile cambiare anche la propria vita.
Questo tipo di disturbo si manifesta in modo molto evidente: il corpo, scarno e denutrito, diviene una tela su cui dipingere l’immagine di un dolore interiore, un disagio che le parole non possono esprimere.
L’anoressia può portare danni molto gravi alla salute come insufficienza renale, alterazioni cardiovascolari, perdita dei capelli e dei denti. Spesso si verifica il blocco del ciclo mestruale che, se permane a lungo, può causare l’osteoporosi.
Spesso anoressia e bulimia si alternano ciclicamente: la persona anoressica, che non riesce più a controllare la fame, cede all’istinto e si punisce con il vomito autoindotto.
Bulimia
Nella bulimia si instaura una dipendenza dal cibo come quella dalla droga e dall’alcool. La sensazione soggettiva è quella di “un pozzo buio e profondo da riempire”: si tratta di un vuoto soggettivo incolmabile, disperato, che si cerca di riempire attraverso l’assunzione di quantità eccessive di cibo. La vita si svolge mangiando, in una sensazione di totale perdita di controllo, e vomitando incessantemente. Il senso di colpa è devastante e lascia la persona in un circolo vizioso senza fine.
Oltre alle abbuffate e al vomito, alcuni dei sintomi attraverso i quali si declina la bulimia sono condotte compensatorie come l’eccessivo esercizio fisico e l’abuso di lassativi e diuretici.
La bulimia, nonostante spesso rappresenti l’altro lato della medaglia delle persone anoressiche che non riescono più a controllare la fame, lascia sul corpo segni meno evidenti: per questo è più difficile da riconoscere rispetto all’anoressia.
Le conseguenze sono comunque devastanti sulla salute di chi ne soffre: il vomito autoindotto causa problemi gastrici, erosione dello smalto dentale, disidratazione, ipotalassemia e disfunzioni cardiache.
Obesità
Se si esclude quella che è conseguenza di disfunzioni metaboliche, anche l’obesità si associa a fattori psicologici, per questo viene definita psicogena. E’ una vera e propria malattia sociale che riguarda un numero sempre maggiore di persone di ogni età, anche bambini.
Come nella bulimia, anche nell’obesità psicogena si è di fronte a una dipendenza, cambiano solo le modalità. Il cibo è scelto con cura e assunto fino ad aumentare di peso in modo spropositato. Viene inconsciamente considerato una soluzione magica alle difficoltà del vivere, un anestetico rispetto al dolore che si ha dentro. Il grasso rappresenta una barriera difensiva per proteggersi dalla propria depressione.
In chi soffre di questo disturbo insorgono gravi danni alla salute quali patologie cardiocircolatorie e malattie metaboliche come il diabete. Possono essere seriamente compromesse anche la capacità di memorizzazione e concentrazione.
I disturbi alimentari sono un modo per comunicare sofferenze e paure.
Perdite affettive importanti, abbandoni, abusi e traumi infantili: il cibo diventa l’anestetico che permette di non sentire la sofferenza, un’auto-cura per non pensare. In questo modo, però, il dolore permane e la vita non viene vissuta.
Questi disturbi non devono essere scambiati per malattie dell’appetito. Sono, infatti, disagi psicologici profondi. Attraverso il rapporto con il cibo – negato, cercato e rifiutato, o ingerito in quantità smodata – esprimono in modi diversi uno stesso bisogno: una disperata fame d’amore.
Il CIBO possiede una fortissima simbologia, pensiamo per un attimo a quanto esso sia il protagonista di ogni forma d’arte (il cinema, commedie teatrali, dipinti, letteratura, oggetto dei mass media tra cui giornali tv, etc.). Il cibo è ovunque e passsa quasi inosservato ma vi siete mai chiesti perché?
Perché cibo simboleggia amore ma ancora di più nutrizione, VITA. Il cibo è alla base della nostra sopravvivenza fisica e psicologica e una lotta contro esso non significa altro che un abbandono alla vita, un consumarsi piano piano, giorno dopo giorno, urlando in silenzio, la propria sofferenza e mettendosi in primo piano con la speranza di essere salvati.
Molti pensano che i DCA siano disturbi moderni, in verità questo è un concetto sbagliato, sono disturbi psichici veicolati attraverso il corpo, lo strumento più forte che possediamo per comunicare, da sempre esistiti, la differenza tra ieri ed oggi è che oggi vengono riconosciuti e affrontati, nel migliore dei casi con una guarigione totale.
Il processo di cura è un processo complesso e non coincide con il recupero del giusto peso corporeo o con l’interruzzione delle condotte di eliminazione (vomito,attività fisica eccessiva, etc.). Il processo di cura richiede un lavoro olistico realizzato da un équipe di esperti (medici, psicologi, psicoterapeuti, nutriozisti, educatori…) ovvero figure professionali che, insieme entro un’unica forza dinamica, agiscono per aiutare coloro in preda alla lotta col cibo a ricostruire la propria identità personale, e a ridecidere di vivere un destino migliore. In altre parole mi piace pensare, in qualità di esperta del mestiere, che un’intera équipe di medici va ad assolvere e soddisfare i bisogni primari di protezione, cura, custodia, vicinanaza e pertanto nutrimento (psicologico oltre che biologico) che gli stessi genitori naturali hanno avuto difficoltà nel gratificare.
Ed ecco che mi sembra opportuno accennare che alla base di un disturbo alimentare, causato da una MOLTEPLICITA’ di fattori diversi, c’è sempre un disturbo affettivo e che questo si è riversato sul “medium” che il cibo rappresenta, un cibo che diventa nemico, semplicemente per il dolore di una incomunicabilità con il soggetto che lo veicola.
Spesso, non sempre, il tema dominante è il rapporto con la madre, che, nella nostra cultura, è anche la “nutrice”. A volte questa tematica è presente dalla prima infanzia, con bimbi che manifestano intolleranze al latte, anche a quello materno nel quale sono magari presenti sostanze che infastidiscono il lattante. Ma è già allora che dobbiamo osservare il disturbo per far sì che il rapporto con il cibo non diventi qualcosa che segni l’individuo per tutto il suo sviluppo. ansiose rispetto ai ritmi delle poppate dovrebbero essere più tranquille (termine mai stato più adatto!), l’essere umano è programmato per autogestirsi e la frequenza della richiesta del seno rifletterà lo stato di serenità che le madri hanno nei confronti di questo tema. E poi nell’infanzia, quando si formano i primi engrammi coscienti nel bimbo, “mangia di più”, “non mangiare troppo”, quante esortazione andrebbero sostituite da una migliore proposta alimentare e da una più accurata e amorevole preparazione del cibo. Attenzione va data anche al rapporto che queste madri hanno con il corpo, a ciò che sono. Ogni genitore, suo malgrado, è testimone e “quello che è parla più forte di quello che dice” , come asseriva Emerson. Perciò in una società che ha posto il culto della forma al centro dei suoi valori e che ha imprigionato la qualità della Bellezza nella forma fisica, le donne, che diventano madri e poi nutrici, devono fare un percorso di grande consapevolezza per raggiungere quel giusto distacco che permetta, a sé stesse prima e ai loro figli dopo, di rapportarsi al cibo in modo sano, equilibrato, senza che diventi strumento di ricatto affettivo “non mangio così ti faccio un dispetto”.
Pensate a quanti modi diversi usiamo per dimostrare amore a qualcuno: c’è chi lo esprime cercando di sostenere con parole d’incoraggiamento, c’è chi con atti di servizio, cucinando e lavando la biancheria o accompagnando all’aeroporto all’alba, c’è chi ti ama organizzando favolose feste a sorpresa o offrendoti doni preparati e scelti con cura oppure più tradizionalmente abbracciando, cercando e proponendo un contatto fisico.
E c’ è anche chi lo manifesta con la sofferenza più estrema e il dolore più divorante, come quello manifestato dai disturbi alimentari che, in forme diverse, esprimono solo un grande concetto: AMAMI E AIUTAMI AD AMARMI. Dipende dalla tipologia ed è importante riconoscersi e riconoscere il linguaggio che usiamo, quello al quale ci siamo abituati magari per precedenti relazioni familiari, e sperimentarsi anche in linguaggi nuovi, anche distanti dal nostro modo d’essere, ma che di certo ci offriranno una via di evoluzione personale e rapporti più armonici.
Dr.ssa Anna Gallucci
Psicologa clinica e Psicoterapeuta Analitico Transazionale in formazione
Albo Psicologi del Veneto n. 7901
mail: anna.gallucci@ordinepsicologiveneto.it
Categoria: Benessere • Cibo • Psicologia
Info sull'autore: Direttore Responsabile art journalist & more