Sweet&Wet: “L’Aspettativa” – capitolo 4

 

I Diari di Casanova vi presenta in esclusiva Sweet&Wet e il suo secondo racconto erotico “L’Aspettativa”, in anteprima
Sweet&Wet vive e lavora in una città media, di medie dimensioni, portici e tradizioni.
Il suo è un lavoro come un altro, in un ufficio come un altro. Quando la sera Sweet&Wet esce dal lavoro corre a casa, prepara la cena e trascorre il tempo con il marito e con il cane. E’ un’ottima cuoca, le piace sperimentare e abbonda con le spezie.
Sweet&Wet compra e legge montagne di libri, appunta citazioni, scrive continuamente e chiude nel cassetto le sue storie.
Se la incroci per la strada, Sweet&Wet ti osserva, ti scruta.
Ha già in mente un racconto per te. E abbonderà con le spezie anche in questo caso.

©Sweet&Wet

Ufficio stampa
Carlo Dutto
carlodutto@hotmail.it


Da allora era successo altre volte, molte volte. Ad ogni occasione possibile, ogni volta in cui avevano l’opportunità di ritagliarsi anche solo mezz’ora di solitudine dagli impegni lavorativi, familiari.

E i loro amplessi telefonici si erano fatti più dettagliati, più particolareggiati. Era quasi sempre Lorenzo a parlare, a condurre il gioco. Luisa ascoltava, diceva il minimo indispensabile. Chiudeva gli occhi, si lasciava andare.

Settimane dopo, Lorenzo le aveva proposto di vedersi.

Come avrebbe mai potuto dire di no? Era ciò che voleva più di ogni altra cosa. Che quell’uomo fosse suo. Che quell’uomo la facesse sua in tutti i modi in cui l’aveva fatta sua attraverso il telefono, ma questa volta davvero, questa volta per davvero. La faceva impazzire attraverso un telefono, la faceva godere come mai le era successo prima di allora, solo con la sua voce, solo con le parole. Luisa tremava di desiderio, di aspettativa, al pensiero di cosa sarebbe stata tra loro la realtà.

Non avevano perso tempo, una volta che la porta si era chiusa alle loro spalle. Nel giro di qualche minuto, o di mezz’ora, Luisa non avrebbe saputo dire, lei e Lorenzo stavano armeggiando con chiusure lampo e colletti, aprivano, slacciavano, sfilavano indumenti.

Poco dopo, la testa affondata tra le sue gambe, lo sguardo arrapato che si sollevava per cercare di incrociare i suoi occhi, Lorenzo mugolava.

Mmmmmh. Mmmmmh, mmmmmh.

Come se a godere in quel momento fosse lui, che invece gliela stava solo leccando.

Su e giù… Dentro e fuori… In cerchio in senso orario ed in senso antiorario… Su e giù…

E ancora. Mmmmmh, mmmmmh.

MMMMMH.

Era stato in quell’istante che Luisa aveva ricordato come Lorenzo avesse descritto esattamente la stessa scena, al telefono.

Cos’è che le aveva detto? “Voglio leccare il tuo piacere, sentirlo sulla lingua, sentirlo nella mia bocca…”

E cos’altro era che le aveva detto? “Voglio bere da te… e poi baciarti e farti assaggiare il tuo sapore, e poi ricominciare…”

Luisa aveva sognato molte volte l’immagine di quest’uomo, la testa di ricci fitti, i capelli ingellati appena più radi sulla fronte, immerso tra le sue gambe a bere il suo piacere, ad attingere da lei ogni goccia di umore come da un calice prezioso, come da una divinità.

“Stringimi tra le tue gambe,” aveva detto Lorenzo “spingiti contro di me, non lasciarmi muovere.”

Nell’immaginazione di Luisa la scena vissuta in prima persona eppure in modo quasi voyeuristico mostrava lei, perfetta e languida, distesa in una posa sensuale, Lorenzo allungato tra le sue gambe, i muscoli tesi. La realtà erano oggi le cosce di Luisa, troppo grosse, allargate tra le lenzuola, la fronte di Lorenzo e quel suo sguardo imbarazzante, ingrifato e soddisfatto. La realtà erano la sua bocca e la sua lingua e il movimento tanto ripetitivo, privo di fantasia. La ricrescita della sua barba, intorno alle labbra, dura come cartavetro.

“Voglio sentire che vuoi esplodere di me,” le aveva detto Lorenzo al telefono ogni volta “Tieni la mia testa incollata a te, muoviti più forte.”

Ma Luisa non ci arrivava, a trattenere la sua testa. Si era sdraiata completamente, di traverso sul letto sfatto, senza un cuscino che le sollevasse la testa, e arrivava con le mani a sfiorare a Lorenzo appena la fronte, le tempie. Avrebbe voluto affondare le dita tra i suoi capelli, tirarli forte, forte, come aveva immaginato innumerevoli volte, ma Lorenzo aveva indossato troppo gel, i suoi piccoli ricci fitti erano troppo duri per poterlo fare.

“Voglio affondare le mie dita dentro di te” le aveva detto Lorenzo in quell’auricolare “A fondo dentro di te… muoverle dentro sempre più veloce” e Luisa aveva immaginato le sue dita entrare in lei, profondamente, aveva sentito con chiarezza il brivido che quelle dita le avrebbero provocato, il senso di pienezza, la discesa in caduta libera, giù a precipizio, sempre più rapidamente vicina al limite.

Ma quando le dita di Lorenzo avevano iniziato ad esplorarla non l’avevano fatto per nulla profondamente, si erano aggirate genericamente all’ingresso del suo corpo come se non avessero idea di quale fosse il da farsi. Luisa si era resa conto che Lorenzo cercava in qualche modo di seguire i passaggi che tante volte sussurrandosi al telefono avevano vissuto, uno dopo l’altro, ma che era ormai troppo preso dalla situazione per concentrarsi realmente su ciò che stava facendo.

E lei, cosa aveva fatto lei, a questo punto, durante i loro amplessi immaginari?

Beh, dipendeva dalle volte. In alcune occasioni, grazie ad uno di quegli scollamenti spazio-temporali che solo l’immaginazione pura consente, Luisa si trovava improvvisamente sdraiata su un tavolo, o in piedi contro un muro. In altre i passaggi tra i vari atti erano seguiti in modo consecutivamente più logico, ed era la volta di Luisa di assaggiare il piacere di Lorenzo, con la lingua, con la mano.

Luisa sentiva che in qualche modo anche Lorenzo si aspettava che lei seguisse in successione i passi dei loro incontri telefonici. Avrebbe voluto passare al sodo, se avesse potuto scegliere, avrebbe avuto voglia di dare un taglio a tutti i preliminari e arrivare direttamente al dunque, tanto era il desiderio di esplodere, di possedere fisicamente quest’uomo che in così tante occasioni aveva posseduto in voli pindarici.

Ma non voleva rischiare che Lorenzo rimanesse deluso, e così si era alzata, lo aveva raggiunto per baciarlo come credeva avrebbe voluto lui, per affondare la sua lingua nella sua bocca e assaggiare tutto quel piacere di cui lui aveva bevuto, e gli aveva detto sorridendo “sto assaggiando il mio sapore dalla tua bocca” sapendo che lo avrebbe fatto impazzire, che era quello che desiderava.

E poi si era piegata su di lui e glielo aveva preso in bocca come lui aveva suggerito tante volte in quegli auricolari, leccando per bene ogni parte di lui, lubrificandolo per bene per poter muovere la mano più facilmente.

Esattamente come era stato detto, ogni cosa. Nel modo previsto, come da copione.

Eppure, non poteva fare a meno di sentire Luisa, non era stato tutto più intenso al telefono? Nell’immaginazione, nella spontaneità dell’immaginazione, più potente, più magico persino?

Mano, bocca, saliva. Quanto più spoetizzanti apparivano ora, nella verità dell’atto?

Esplorami, aveva detto Lorenzo. Fammi tuo.

La realtà era una mano umida che andava su e giù, ritmicamente, con forza.

“Lentamente…”, si erano detti innumerevoli volte. “Lentamente, prendendosi tutto il tempo del mondo”.

Ma quando infine Lorenzo l’aveva tirata a sé, esausto di preliminari, non era stato lento. Quando le era scivolato dentro mordendole una spalla – anche questo particolare preannunciato, atteso – non era stato lento.

E quando tutto era infine terminato, tra di loro, pochi minuti più tardi, quando l’atto era terminato e quando entrambi, distesi uno accanto all’altra, fumando la sigaretta post-orgasmo, erano rimasti in silenzio a guardare l’anonimo soffitto bianco della stanza del Best Western senza nulla da dirsi, Luisa non aveva potuto che sorridere, e scuotere la testa.

Era stata quell’aspettativa, tra di loro, erano state tutte le parole a rovinare la realtà.

 

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