“Post Scriptum”, di Florence Dugas
Ilaria Rebecchi | Ott 02, 2013 | Commenti 0
Secondo libro della trilogia erotica scritta dalla giovane scrittrice francese Florence Dugas.
Situazioni e personaggi sono quelli già noti ai suoi lettori: sesso oltre ogni limite, omosessualità femminile, pratiche sadomasochistiche, incesti, situazioni estreme descritte in modo violento.
Pierre
(Da: “Post Scriptum”)
Mi aggiravo in una grande libreria, incaricata da mia madre di comprarle le letture per l’estate, con la possibilità di aggiungerne alcune di mio gradimento. Vagavo da un settore all’altro. Presi a sfogliare La confessione impudica – nebuloso ricordo di un corso di letteratura…
” Ottima scelta ” ha mormorato una voce bassa dietro di me.
Ho sollevato la testa. Era molto più alto di me – mi stava vicinissimo e leggeva al di sopra delle mie spalle – una cosa che detesto. Né bello né brutto – un tipo, come si suol dire. Capelli precocemente grigi, tagliati molto corti. Gli occhi dello stesso colore – uno sguardo diretto, freddo, senza compiacenza. Le labbra un po’ troppo carnose.
Mi ha preso il libro dalle mani:
” Glielo regalo ” ha detto.
Era impalpabile – ma qualcosa nel suo atteggiamento mi ha costretta a seguirlo alla cassa con le braccia cariche di libri; l’osservavo camminare davanti a me, e non si preoccupava minimamente di controllare se lo stessi seguendo o meno, così sicuro di sé da essere irritante.
Dopo, nulla si è svolto come avrei potuto immaginare. Non un invito a bere qualcosa, né sottintesi sentimentali. Mi ha dato il libro di Tanizaki annunciandomi che stava partendo per le vacanze. Due mesi. Ha messo il suo biglietto da visita nel volume. ” Se il romanzo le piace, mi telefoni a settembre” mi ha detto, laconicamente, e altrettanto seccamente ha girato i tacchi e se n’è andato, con passo noncurante, vagamente animalesco. Lupo della steppa… Ho scommesso con me stessa che si sarebbe voltato – l’ho seguito con lo sguardo mentre si dirigeva verso la chiesa di Saint-Eustache, scomparendo all’angolo della strada… No, non si è voltato, si è allontanato con quell’andatura morbida, animalesca che, come tutta la sua persona, emanava qualcosa d’indifferente e di attraente.
Ovviamente, il libro mi è piaciuto.
Ero tornata dalle vacanze, Parigi aveva ripreso il suo ritmo, ma io, come tutti gli altri studenti disorientati dal rientro, vagavo oziosa, osservavo gli alberi ingiallire.
All’improvviso mi è venuta voglia di telefonargli. Era in casa.
“Buongiorno” ho detto con voce un po’ esitante. ” Mi riconosce? “.
“Ma certo,” ha risposto “la piccola lettrice… Dove si trova? “.
” Mia madre mi ha preso in affitto un piccolo appartamento, e sto finendo di arredarlo… “.
” Qual è l’indirizzo? “.
Gliel’ho detto.
È arrivato due ore dopo – non aveva detto quando sarebbe venuto, ma era già da un’ora che l’aspettavo. Avevo anche pensato di farmi la doccia, poi l’idea mi era parsa ridicola (e perché mai avrei dovuto farmi una doccia?), sebbene con tutte quelle casse che avevo spostato nel trasloco, nell’atmosfera ancora calda di settembre, sicuramente puzzavo – così sono rimasta lì, ad aspettarlo. Poi ho messo a posto dei libri – avrei avuto tutto il tempo per farla, quella doccia – e mi sono seduta sul bordo del letto basso, inquieta nell’attesa. Poi ha citofonato.
L’ho riconosciuto subito, era vestito esattamente come allora, mi è parso solo più alto – forse perché l’appartamentino era in parte mansardato.
Mi ha salutata.
La stessa voce bassa e calda, impostata. Mi guardava, c’era dell’ironia nei suoi occhi, poi mi ha presa per la punta del mento e mi ha baciata dolcemente sulle labbra – subito ho socchiuso la bocca, la sua lingua è venuta a cercare la mia, mi sono stretta a lui, dimentica di tutto.
Mi ha spogliata, era la prima volta che un uomo lo faceva, e mi è parso d’essere un coniglio scuoiato. Mi ha fatto distendere prona sul letto – il mio corpo abbronzato tranne nei punti strategici, e per questo ancora più strategici, doveva fare un bell’effetto sul velluto bianco del copriletto.
A lungo mi ha accarezzato la schiena, le natiche, mi ha dischiuso le cosce, ha fatto scivolare due dita nella fessura ancora chiusa, trovandola bagnata (e ne ho preso coscienza solo in quel momento, quando le sue dita si sono insinuate in me), e se si è stupito che fossi vergine non l’ha fatto trasparire. (Più tardi mi disse che non era rimasto affatto stupito, che sapeva quel che l’avrebbe atteso.)
Dolcemente, a lungo mi ha accarezzata, sin quando il mio corpo teso si è rilassato. Ha fatto scivolare la mano sotto il ventre, avanzando nella fessura come la prua di una nave, sino a sfiorarmi il clitoride – mi sono quasi rovesciata per la violenza della sensazione – ha preso a ruotarci attorno fino a farmi godere; tenevo nascosto il viso nel cuscino, spaventosamente consapevole e vergognosa dei sussulti delle mie natiche durante l’orgasmo, mordevo il tessuto per non fargli sentire le mie grida – gemendo comunque, ed era molto peggio.
Si è alzato, lasciando che mi calmassi, ha guardato i titoli dei libri sugli scaffali spogliandosi con noncuranza. Ho sbirciato attraverso le ciocche dei miei capelli – le spalle larghe, la schiena come l’addome scolpita di muscoli, e quell’oggetto dei miei deliri, semieretto, che scendeva fino a mezza coscia – più scuro di quel che mi aspettavo, ma lui, come mi avrebbe detto più tardi, era per metà meticcio.
Si è seduto accanto a me, mi ha accarezzato i capelli e si è appoggiato la mia testa sulla coscia, i miei occhi e la mia bocca erano vicinissimi al membro ora spaventosamente eretto – l’idea che un simile strumento potesse avere la pretesa di penetrarmi mi è parsa assurda, tutto in me si è ribellato, e al tempo stesso ero solo desiderio di sangue. Mi carezzava la nuca, lasciandomi invadere dall’aspetto, dalla forma, dall’odore di quello scettro. Poi ha poggiato il glande dilatato sulle mie labbra, e l’ho preso in bocca.
L’ho succhiato come meglio ho potuto – male, ma lui m’ha preso la testa fra le mani, regolando le variazioni del ritmo, la pressione discreta dei denti, l’arte di far ruotare la lingua attorno a quel bronzo vivente – insegnandomi tutto quel che ignoravo della profondità della mia gola – riuscivo ad inghiottire quell’asta dura sempre di più, sin quando ho sentito le lacrime bruciarmi gli occhi e la nausea rovesciarmi lo stomaco – e me ne sono vergognata.
Aveva ricominciato ad accarezzarmi, umettandomi davanti e dietro con gli umori del mio orgasmo – sondando la strettezza dell’imene con la punta dell’indice, tirando dolcemente la piccola membrana tesa, poi massaggiandomi l’ano con il pollice, ammorbidendolo, immergendovi una, due falangi, e allora ho capito come mi avrebbe presa.
Non corrispondeva a nulla di fisiologico, lo so bene – era solo la traduzione, nella mia carne, di quel che mi passava per la mente -, ma avevo l’impressione di bagnarmi più nel culo che nella fica. Si è alzato, si è disteso su di me. Ha appoggiato il cazzo perpendicolarmente al mio culo, e ha spinto, con metodo, con determinazione – lentamente, per farmi ben memorizzare l’istante e quel che gli donavo – e ho percepito dolorosamente una lacerazione, quando tutto il glande ha forzato l’imene. E allora mi sono abbandonata totalmente, e mi ha sodomizzata nel più intimo di me stessa, rivelandomi quanto fossi profonda, come senza limiti. Si reggeva sulle braccia, conficcato in me, non mi pesava addosso, ho solo percepito i peli del suo pube sfiorarmi le natiche, e allora ho capito che era completamente dentro di me, che mi aveva totalmente inculata e che, superato il dolore iniziale, nella sofferenza più sottile che seguì, adoravo esserlo.
Era una scoperta stupefacente. Certo, mi ero identificata con tutte le fanciulle torturate, e le frasi più crude risuonavano ancora in me. Ma ignoravo fino a che punto fossi realmente simile a loro. E, fatto ancor più stupefacente, che lui l’avesse capito prima di me. Ero dunque un semplice libro aperto che solo io non ero in grado di leggere?
Ho sentito che si stava ritraendo, e mi sono inarcata per non perderlo, allora è riaffondato, poi ha incominciato a muoversi, inculandomi sempre più violentemente, annientandomi, strappandomi urla senza fine. Mi ha afferrato la mano facendomela scivolare sotto il ventre, ho sentito la sua voce sussurrare:
” Accarezzati “.
Mi sono masturbata freneticamente, come di solito faccio quando voglio godere velocemente, e ho goduto subito. Avevo le reni e il sesso in fiamme, ho proteso disperatamente il culo verso di lui, percependo le contrazioni convulse dell’ano, sperando che mi penetrasse ancor più a fondo, che mi salisse fino al cuore. Mi sono calmata un istante – ho creduto che sarei serenamente ricaduta come una foglia morta, ma lui ha ricominciato a lacerarmi, e in breve ho avuto un secondo orgasmo, questa volta unicamente grazie al suo cazzo…
“Ti piace, vero?”.
La sua voce era un soffio.
“Sì… “.
Non capivo cosa volesse da me.
” Dillo “.
” Sì, mi piace “.
” Cosa ti piace? “.
“Quello che tu… quello che lei mi fa”.
Quella tentazione di dargli del tu; temevo che sarebbe svanito se l’avessi fatto… E non ho mai più osato.”Ti piace essere inculata? “.
“Sì” ho sussurrato.
” Dillo “.
” Mi piace essere inculata “.
“Continua… “.
“Mi piace sentirla in me… Non so dire… “.
” Che cosa sei ora? “.
“Non so dire… “.
” Sei un’inculata? “.
“Sì… “.
“Dillo…”.
“Sono un’inculata… un’inculata… “.
Mi compiacevo nel pronunciare quel termine volgare, eccessivo. Una dopo l’altra, mi ha insegnato a dire tutte le parole più sconce, più oscene. Sì, adoravo essere inculata da lui. Avevo voglia di sentirlo sborrare in me. Volevo che sprofondasse sempre di più, che mi sfondasse… No, mi voleva sborrare in bocca… Sì, avevo anche voglia di succhiarlo… Come avrei potuto immaginare il gusto di un cazzo che mi aveva esplorato così a fondo? Sì, ne dubitavo… Me ne fregavo… poteva fare di me quel che voleva… Sì, poteva sborrarmi in bocca, non avrei esitato… Poteva punirmi, se mi vedeva esitare…
Si è aggrappato al mio culo, mi sono girata come un serpente e l’ho preso in bocca. Aveva il cazzo ricoperto di cose innominabili, e l’ho inghiottito più che potevo, mi sono riempita la bocca e la gola con quel membro insudiciato, l’ho succhiato freneticamente, fino a farlo sborrare, fino a quando il fiotto acre dello sperma mi è schizzato sulla lingua, mi ha solleticato le papille, l’ho trattenuto in bocca qualche istante come un vino pregiato, poi ho bevuto tutto, con la sensazione di essere stata onorata, incoronata, colma di gratitudine per esser stata ritenuta degna di berlo.
“Verrò domani” mi ha detto rivestendosi. “Verso le quattro, credo. O forse le cinque. Quando arriverò, ti farai trovare già nuda. Verrai verso di me in ginocchio, mi sbottonerai e me lo succhierai. Quando sarà duro, ti volterai, prona. Ti divaricherai le natiche con le mani pregandomi d’incularti. Procurati della vaselina, o qualcosa di simile, perché questa volta non avrò alcuna pietà”.
Florence Dugas
Info sull'autore: Direttore Responsabile art journalist & more