Nessuno è serio a 17 anni: “Giovane e bella” di François Ozon

“Diciassett’anni! Nella notte estiva m’inebrio” recitava una poesia di Rimbaud, declamata da Isabelle e dai suoi compagni di classe durante una lezione. Non a caso, è proprio una notte estiva a portarsi via la verginità della giovane protagonista, complici un bel ragazzo tedesco e una squallida spiaggetta della Costa Azzurra, dove Isabelle subisce il suo battesimo nell’amore sensuale. Non un’esperienza inebriante, ma un obbligatorio rito di passaggio dal quale non ricava alcun piacere. Il mondo nuovo che si spalanca di fronte a lei, potenzialmente carico di promesse seducenti, si traduce però in una sessualità deviata, glaciale, materialista: l’esplorazione del corpo, tipica dell’adolescenza, non diventa un gioco di condivisione e scoperta, bensì un meccanismo algido di sfruttamento e prostituzione. Isabelle, trincerata nella silenziosa consapevolezza della sua avvenenza, vende la freschezza del suo corpo a chi, naturalmente, quella freschezza l’ha ormai dimenticata. Uomini maturi, in alcuni casi anche anziani, sempre benestanti, spesso laidi e prevaricatori, che possono far valere l’unica forza che gli rimane: quella del denaro sonante.

Con Giovane e bella, François Ozon indaga i turbamenti dell’adolescenza nella loro veste più inquietante, rileggendo la pubertà come una zona d’ombra imperscrutabile, refrattaria alla comprensione degli adulti; di conseguenza, il film si rivela come una sorta di racconto formativo al contrario, una “diseducazione” sentimentale che ha certamente il pregio di non scivolare nel didascalismo. Che sia per noia, per curiosità o per un processo di autoconoscenza (non certo per denaro), le ragioni che spingono Isabelle a prostituirsi non sono mai del tutto chiare, e restano nascoste nel segreto del suo sguardo impenetrabile.

Ozon trova la chiave giusta, almeno in principio: pur soffermandosi a lungo sulla sensualità della bocca o del corpo della ragazza (l’ex modella francese Marine Vacth), le scene di sesso esprimono soltanto la fredda meccanicità dell’atto fisico, l’iterazione di un gesto svuotato di ogni potenziale significato emotivo o metafisico. Siamo lontani, per intenderci, dalla carnalità soffice e primigenia de La vita di Adele, dove il sesso è invece l’emanazione di un idillio profondamente umano, un’intesa che sfrutta il corpo delle due amanti come mezzo ideale – e paradossale – per trascendere il corpo stesso. Al contrario, in Giovane e bella non c’è spazio per questa visione gioiosa dell’amore fisico: ogni atto sessuale, per Isabelle, è la rivisitazione inesausta di quella prima esperienza sulla spiaggia, con il medesimo distacco e la stessa identica assenza di piacere.

Il dualismo estetico cui la ragazza sottopone il suo corpo – veste abiti sformati e sciatti per andare a scuola, indossa completi raffinati per incontrare i clienti – è indicativo di un atteggiamento che si fa seduttivo solo in una circostanza determinata: quella del gioco di ruolo, dove lei interpreta una parte (fingendo un’età non sua) e dispensa un “servizio”. A nulla valgono la disperazione della madre o l’infatuazione sincera di un compagno di classe, cui lei si concede senza riserve, ma con un’apatia che lascia pochi dubbi sul loro futuro. Nemmeno la saggezza di Charlotte Rampling, moglie di uno dei clienti, sembra esercitare un’influenza decisiva, e allora accade che Ozon, giunto all’epilogo della storia, fatichi a tirarne le fila: la vicenda resta sostanzialmente irrisolta, forse perché irrisolvibile è quell’enigma dell’adolescenza che Isabelle custodisce nel suo corpo aggraziato.

di Lorenzo Pedrazzi

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