“In Stato di Ebbrezza”: James Franco scrive di sesso e droghe ’90s
Ilaria Rebecchi | Ago 07, 2012 | Commenti 0
Attore, regista, produttore, video-artista, pittore.
Mai domo il bel James Franco (Palo Alto, 1978), che da aprile è anche nelle librerie di mezzo mondo con il suo esordio da scrittore, “In Stato di Ebbrezza”.
A James interessa la vita vera, quella che si tocca con mano e si assaggia nei sobborghi di un’America bene ma non troppo, scatenata dalla noia, ai limiti, sexy e perversa.
Già aveva colpito con il progetto multi-culturale esposto alla Biennale di Venezia dove l’artista si era cimentato in diversi medio-corto-lungo-metraggi ispirati al cinema di Nicholas Ray e alla sua gioventù bruciata, cosa che era culminata nel settembre 2011 con la presentazione mondiale del suo film da regista “Sal”.
E’ la stessa gioventù bruciata ad ispirarlo anche in questo progetto editoriale, forse ispirato anche all’amico scomparso Brad Renfro il cui nome se l’è pure tatuato sul braccio, e che strizza l’occhio al cinema di Gus Van Sant che ha diretto Franco in “Milk” al fianco di Sean Penn, e con il quale lo stesso ha presentato al Toronto Film Festival lo scorso ottobre un documentario su River Phoenix, star di Van Sant in “Belli e Dannati“.
Si tratta di una raccolta di racconti asciutta e precisa, mai banale o ripetitiva, dove la desolazione dei ragazzini ‘90s intenti solo alle bevute, alle droghe e al sesso senza limiti, colpisce tra campetti da basket e i viali alberati che incorniciano le ville borghesi della California di quel decennio, nelle esistenze di teenager che sfuggono la noia e la solitudine dandosi allo sballo e alla violenza.
Non c’è la Silicon Valley di oggi, quella tutta Facebook e imprenditoria giovanile, ma c’è quel retroscena quasi punk-grunge-hc degli anni ’90, dove è protagonista l’isolamento di questi adolescenti non edulcorato ma pieno di brutalità e tenerezza di un quotidiano umano proprio nella tragicità contemporanea.
Adolescenti strafatti senza un domani, sparatorie e sesso imperante, senza pregiudizi né moralismi: giovani ribelli che disegnano svastiche sui muri e sparano agli uccelli in volo, insultano le prostitute e a loro volta si prostituiscono per entrare in gruppi, a volte solo perché fa ridere.
Abilità narrativa anche nell’orrore quotidiano al quale siamo tutt’oggi ancora tristemente abituati: la perdita dell’innocenza dei giovanissimi.
Ecco qualche estratto:
«Andavo così bene in matematica che in estate mi hanno mandato a fare uno stage alla Lockheed Martin. Fabbricavano missili e satelliti. Ero l’unica ragazza dei dieci studenti scelti.
Il mio lavoro consisteva nel guardare vecchie bobine di film sulla luna. Ce n’erano a centinaia. Io dovevo annotare macchie e graffi sulla pellicola. A volte la luna era piena; a volte, mentre la guardavo, diventava un po’ più piena. Altre volte la pellicola era così graffiata che saltava, o si spezzava. Passavo in quello scantinato quaranta ore a settimana. Ho guardato moltissime lune.
Era diventato così noioso che a un certo punto ho smesso di cercare i graffi. Preferivo disegnare sui fogli del computer che rimediavo dal cesto della carta da riciclare. Disegnavo arcobaleni, persone, città, pistole, gente che veniva colpita e sanguinava, gente che faceva sesso. Provavo a fare ritratti di persone che conoscevo. Quelli della mia famiglia venivano fuori sempre buffi, facevano ridere perché erano somiglianti ma non troppo. Poi disegnavo tutte le cose della mia infanzia, tipo Hello Kitty e Iridella e i Miei Mini Pony. Disegnavo i G.I. Joe di mio fratello. Disegnavo i Miei Mini Pony che uccidevano i G.I. Joe.
Ho fatto centinaia di disegni ed erano tutti brutti. Non ero brava a disegnare. Era anche un po’ triste tutto quel disegnare perché mi faceva vedere cosa avevo dentro. Disegnavo tutto quello che mi veniva in mente. E tutto quello che avevo dentro era una manciata di giocattoli, e programmi televisivi, e la mia famiglia. La mia vita era noiosa. Avevo baciato solo una volta, ed era stato con mio cugino gay, Jamie».
«Il giorno di Halloween di dieci anni fa, al mio secondo anno di liceo, ho ucciso una donna».
«Uccelli, e uccelli, e animali, e cose; con le fionde, e i fucili ad aria compressa, li uccidevamo, e li uccidevamo. Ne uccidevamo un sacco. Una volta ogni tanto uno dei miei amici portava un fucile ad aria compressa e andavamo a fare baldoria. Sparavamo a tutto quello che si muoveva».
«Abbiamo sparato coi fucili ad aria compressa contro la chiesa Unionista. Le pallottole hanno fatto dei leggeri scoppiettii nel bucare le finestre della chiesa. Quando ero più piccolo mi metteva paura vedere quei puntini circondati di vene. Li associavo a dei cattivi sconosciuti con in mano aggeggi distruttivi. Senza faccia e che giravano vorticosamente. Adesso i cattivi eravamo noi».
Info sull'autore: Direttore Responsabile art journalist & more