Filippo Timi è Don Giovanni: “il teatro è un’orgia”
Ilaria Rebecchi | Dic 24, 2013 | Commenti 0
Attore, regista, opinionista, scrittore, belloccio, narciso e amante del sesso a tutto tondo senza alcuna paura.
Filippo Timi è uno che gioca con attitudine e promiscuità sessuale tra bellezza e piacere, raccontando senza paura di fobie, traumi e tic (come nel suo romanzo “Tuttalpiù muoio”, dove parla di emarginazione, desiderio e incontri sessuali, balbuzie e morbo di Stargardt), tra prove d’attore eccellenti e regie d’avanguardia dichiarando ai media che oggi «regna il voyeurismo e tutti vogliono conoscere gli orientamenti sessuali altrui. Ma la mia battaglia è fare in modo che l’amore sia rispetto. E alla fine nei limiti dell’amore ognuno deve poter fare quel cazzo che vuole»
E così uno dei re del cinema italiano contemporaneo, dopo aver portato a teatro un insolito e verace Amleto e poi un travestito negli anni ’50, ha calcato il palcoscenico del nostro Teatro Comunale con la nuova produzione del Franco Parenti con lo Stabile dell’Umbria di cui è regista, adattatore e attore principale, “Il Don Giovanni. Vivere è un abuso, mai un diritto”.
Il suo Don Giovanni, come i personaggi con lui in scena, è uno sfarzoso, libertino, esteta ed esagerato re in technicolor ingabbiato tra menzogne e umanità fatua, amante dell’inganno quasi più che delle donne, sempre e comunque suo unico obiettivo.
In straordinari costumi-scultura che profumano di art -rock alla David Bowie (realizzati da Fabio Zambernardi con lo stilista Lawrence Steele), Timi presenta il mito del più grande seduttore di tutti i tempi riscrivendone i contorni in chiave pop, eccessiva, warholiana e psichedelica nel trionfo dello humour nero e nella rincorsa alla morte, in uno spettacolo «divertente, eccessivo, ironico, colorato, dissacrante, vuoto e pieno, demenziale, leggero e barocco, tra travestimenti da drag-queen e racconti di amori impossibili, incesti, tutto per mostrare il culto del corpo e, fondamentalmente, per rifiutare la morte»
E quindi per Timi desiderare, conquistare, abbandonare fanno di Don Giovanni un essere indemoniato oltre ogni regola, tra cinismo e paura in questa bizzarra favola kitsch dove ognuno è stereotipo di un comportamento sessuale, attitudine, perversione o propensione, tipico e portato all’eccesso, tra chi confonde cibo e amore e chi fa il macho e non lo è, un neo Leporello gay in crisi mistica, un servetto mefistofelico e votato alla lussuria e una Donna Anna dominatrice in lattex con il suo Ottavio sottomesso e infantile.
Si spoglia in scena Timi, tra omaggi d’arte e fotografia dall’Him (Hitler) di Maurizio Cattelan a David LaChapelle, con le musiche indomabili da Donna Summer ai Queen, in uno spettacolo «anti-morte – confessa – dove l’umanità è volubile e insaziabile, priva delle morali colpevoli dell’assurdo destino verso cui stiamo precipitando. Ognuno ha la propria storia, e Don Giovanni non ha scelto di nascere Mito, gli è capitato, e non si sottrae dall’esserlo. Ed è grande perché accetta le conseguenze, inevitabili, dell’essere se stesso»
E mentre dichiara che questo suo Don Giovanni è «bulimico di vita e quindi di piacere carnale», conclude:
«Per me il teatro è come un’orgia. E spesso sono costretto a trattenermi dallo spogliarmi e buttarmi nudo tra il pubblico. Tanto alla fine è sempre buio in sala, no?»
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