“Dizionario erotico. Manuale contro la donna, a favore della femmina”, di Massimo Fini

Un’opera provocatoria, a metà tra il sillabario divagante e la confessione personale, che esplora più di cento voci molto varie inerenti l’universo erotico femminile, così come lo vedono, e ne parlano gli uomini. Ma questa guida alla libido femminile osservata dal maschio riserva più di una sorpresa, e la conclusione non è affatto scontata.

Ambiguità femminile

L’uomo è diretto, la donna trasversale. L’uomo è lineare, la donna serpentina. Per l’uomo la linea più breve per congiungere due punti è la retta, per la donna l’arabesco. L’uomo è razionale, la donna no. L’uomo approccia la realtà con l’attitudine del cronista, la donna con quella del romanziere: sfuma, allude, sottende. Nella donna, come nel romanzo, il non detto è più importante del detto.

Lei è insondabile, sfuggente, imprevedibile. E l’eterno femminino. L’ambiguità costituisce la fonte inesauribile del suo fascino ma anche il principale motivo della perenne e irrimediabile incomprensione fra i sessi. Al confronto con la femmina il maschio è un bambinone elementare («Ricordati che in ogni uomo c’è un bambino che vuole giocare» dice Nietzsche) che lei, a parità di condizioni, si fa su come vuole. A meno che non sia veramente innamorata. Perché la donna è un essere totale, capace quindi anche di una dedizione totale. In questo caso il suo masochismo sessuale, in genere compensato ad abundantiam dalla sua vitalità naturale, diventa masochismo tout court e lei può davvero farsi vittima senza difese e fino alle estreme conseguenze. La storia di Adele Hugo, la figlia dello scrittore, così splendidamente raccontata da Truffaut, è un paradigma di questa capacità di annichilimento. Solo le donne sanno sacrificare con naturalezza, quasi con noncuranza, la vita per il proprio uomo (Claretta Petacci ed Eva Braun ne sono due famosi esempi storici). Anche l’uomo può sacrificare la vita per l’amata e persino per un estraneo (questo la donna non lo farebbe mai, è troppo contrario ai suoi istinti vitali), ma lo fa, quando lo fa, per mantenere un certo concetto di sé, per orgoglio, per dovere sociale («prima le donne e i bambini») e ha bisogno quindi di un atto di volizione, di un atto eroico. Obbedisce a una regola, a un imperativo morale. La donna lo fa per istinto. Per l’uomo è molto più difficile, è un atto di coraggio, se il vero coraggio non è la temerarietà o l’incoscienza ma la capacità di superare, con la volontà, la paura.

Di fronte alla morte, come al dolore, l’uomo è infatti, in partenza, molto più vile della donna, perché ne ha più paura. Per il maschio la morte è precipitare nello spaventoso Nulla da cui è venuto, per la donna è ricongiungersi alla Terra, a Gea, alla Grande Madre, a se stessa. Questa capacità di dedizione totale al proprio uomo che appartiene, in certe occasioni, alla donna non va confusa con la generosità. E una forma di masochismo sublimato nell’amore. Ma nella quotidianità e nella normalità la donna è tutt’altro che generosa. È, al contrario, gretta, micragnosa, meschina, piccina, attentissima al “do ut des”. L’uomo vive nell’astrazione, la donna nella concretezza. Ciò non significa però che conosca il principio di realtà. Segue semplicemente i propri istinti. Per cui può capitare che, come una falena impazzita, vada a sbattere contro il vetro della finestra e si estenui nel cercare di sormontare o di aggirare l’ostacolo impossibile. Ma la sua forza è tale che può persino riuscire, violando tutte le leggi della razionalità, ad abbatterlo.

Che questa sia un’epoca femminea, o quantomeno unisex, lo dice anche il fatto che l’uomo ha perso le proprie caratteristiche di linearità, di dirittura, di franchezza, di lealtà e quindi di virilità. E diventato ambiguo come una donna. Parla con lingua biforcuta, raggira, tende trappole e tranelli. Non rispetta più le regole, la norma, non conosce o non riconosce più la logica, il principio di non contraddizione, ha perso il senso del diritto e della giustizia (cui la donna è refrattaria, per lei non esiste regola che possa avere valore superiore ai propri istinti vitali). L’uomo sta cioè abbandonando il mondo artefatto che lui stesso si era costruito, senza per questo poter ritrovare quello naturale. Siamo di fronte a uomini femminilizzati e a donne maschilizzate, che dall’uno e dall’altro sesso hanno preso solo il peggio. Siamo diventati tutti degli omosessuali.


Atto sessuale

In sé non ha nulla a che vedere con l’erotismo. L’erotismo è un fatto mentale, scopare un fatto fisiologico, un mero sfregar di mucose. Diventa erotico – ma perché ciò avvenga bisogna che la società e l’individuo abbiano raggiunto un certo livello culturale – quando viene percepito come atto che degrada la donna a femmina, ad animale. Spiega Georges Bataille in un fondamentale passaggio de L’erotismo: «La bellezza (l’umanità) di una donna concorre a rendere sensibile – e sconvolgente – l’animalità dell’atto sessuale. Nulla di più deprimente, per un uomo, della bruttezza di una donna sulla quale la laidezza degli organi sessuali e dell’atto non risalti. La bellezza conta in primo luogo perché la bruttezza non può essere sciupata. Laddove l’essenza dell’erotismo risiede appunto nella profanazione».

Per l’uomo la donna è un soggetto erotico non perché ha un sesso in quanto tale ma perché attraverso la sua sessualità la può ricondurre allo stato animale, destituendola quindi come donna, come persona, come individuo sociale. Questo processo di degradazione ha un percorso più o meno lungo (i cosiddetti preliminari), che è appunto il gioco erotico, e il suo culmine nell’atto sessuale. Ma proprio quando il maschio crede di realizzare il suo massimo trionfo sulla donna, degradandola definitivamente a femmina nella brutalità e nella naturalità dell’atto, qui si realizza invece la sua capitolazione. Ciò che l’uomo sente di infinitamente superiore nella donna è la vitalità. Ed è questa vitalità che nel gioco erotico vuole in fondo punire, sconciandola e umiliandola. Ma si caccia in una trappola perché, degradandola a femmina, va a ficcarsi proprio nel cuore della sua potenza creativa e ne viene inghiottito. Più sottile, forse, è il maschio masochista che, invertendo i ruoli sessuali, afferma il proprio valore e la usa invece di esserne usato.

E’ sempre la donna a uscire vincente dall’amplesso: perché ritrova la propria essenza, che è la natura, laddove l’uomo perde la sua, che è la cultura. Attraverso i cicli lunari, le mestruazioni, la fecondazione, la gestazione, la placenta, il parto, le mammelle, il latte e tutti i complessi processi fisiologici che si svolgono all’interno del suo corpo, la donna è infatti legata alla natura molto più intimamente di quanto lo sia l’uomo. L’atto sessuale riporta quindi la donna a se stessa, alla sua funzione primigenia di femmina potenzialmente feconda, che procrea, e che in ragione di ciò è strutturata per ricavarne il massimo piacere, che la coinvolge interamente («sono tutta bagnata»), mentre al maschio è riservato il compito transeunte dell’inseminatore e un piacere molto minore e localizzato.

L’atto sessuale interessa quindi molto più a lei che a lui. E se col gioco intellettuale dell’erotismo l’uomo cerca un piacere diverso da quello fisico è proprio perché il piacere che gli procura l’amplesso è limitato se non addirittura deludente. Che poi oggi, nella stragrande maggioranza dei casi, l’accoppiamento non preveda la fecondazione, anzi espressamente la escluda, non annulla queste verità biologiche di fondo che continuano a determinare e modellare i caratteri, la psicologia, i movimenti e i comportamenti del maschio e della femmina. Vinta e umiliata quindi nel gioco erotico, come donna, lei risorge inesorabilmente, nell’atto sessuale, come femmina. È l’Araba Fenice. È indistruttibile.

L’uomo avverte più o meno consciamente, oscuramente, di avere in tutta questa vicenda la parte minoritaria, marginale e letale del fuco. Come il fuco, viene portato dalla sconvolgente sessualità della femmina ad altezze che non gli sono congeniali e la sua morte simbolica è segnata dallo stato miserevole in cui è ridotto il suo pene mentre la vagina si nutre del suo seme e si gonfia d’orgoglio. E’ un passaggio di energie. «Hanno sempre da guadagnarci con quella loro bocca pelosa» dichiara crudamente uno dei protagonisti de “L’età della ragione” di Sartre.

Diciamo quindi la verità una volta per tutte: se potesse l’uomo farebbe volentieri a meno di scopare. E’ un dovere biologico e sociale, una fatica, uno stress, implica un’erezione problematica, costringe il maschio a mettersi alla prova, a sottoporsi al giudizio della donna per qualcosa che, in definitiva, va a vantaggio molto più di lei che di lui. Invece nei preliminari, cioè nel gioco erotico vero e proprio, è lui il padrone della situazione, che maneggia, scompone, sconcia a suo piacere l’inquietante giocattolo (ma anche questa è illusione e apparenza: il gioco erotico è necessario all’erezione del maschio, ma in funzione della femmina, la vera protagonista dell’amplesso).

Lisistrata, quindi, chi la capisce? Capeggiò uno sciopero che inibiva ai mariti l’accoppiamento, ma le loro donne e spose continuavano a fare i consueti lavori di casa. Venire accuditi e non essere nemmeno costretti a scopare: si può immaginare qualcosa di meglio? Oltre- tutto lo sciopero di Lisistrata e delle sue compagne era particolarmente stolido perché aveva lo scopo di far terminare una guerra che i greci delle varie polis si stavano combattendo da decenni, lasciando le donne a casa a fare la calza. Ora, ogni maschio bennato di fronte alla scelta fra la donna e la guerra non ha dubbi: sceglie la guerra. «Fate l’amore e non la guerra» è uno slogan femmineo che non ha retto alla verifica della realtà.

Infatti la donna, che procrea, è dalla parte della vita, ma l’uomo, fuco sterile, è animato da un oscuro istinto di morte e soffre di un acuto, anche se inconfessabile, inferiority complex nei confronti della femmina («l’invidia del pene» è un sottoprodotto culturale, una sciocchezza freudiana). L’uomo si è inventato tutto il resto, l’arte, la letteratura, la scienza, il diritto, il gioco e il gioco di tutti i giochi, la guerra, per coprire in qualche modo questo vuoto, per sopperire alla sua impotenza procreativa. Il mondo della donna appartiene alla concretezza e alla pienezza della natura, quello dell’uomo al sogno, all’astrazione, all’artefatto. Suo è quindi anche il gioco erotico.

L’erotismo, costruzione mentale, è un bisogno molto più maschile che femminile. Per la donna, alla quale in fondo per andar su di giri basterebbero le carezze, cioè un’attività fisica, è solo un fatto di sponda, di controspecchi. Narcisa astuta e sapiente, si riflette nel piacere di lui e ne gode. Anche perché sa che, alla fine, ne trarrà, come dicono a Genova, la sua convenienza.

Per l’uomo quindi l’atto sessuale può diventare facilmente secondario rispetto al gioco erotico o venir addirittura eliminato. Per la donna rimane invece l’obiettivo primario. Legata alla natura, potenzialmente feconda, la donna, nonostante tutte le sovrastrutture culturali che le sono state calate addosso, resta un essere-per-la-vita, mentre l’uomo è-per-la-morte. L’uomo è quindi per l’eros, la donna per il sesso.


Chiesa cattolica

Non sarà mai ringraziata abbastanza, perché ci ha dato il più delizioso di tutti i sensi: il senso di colpa. È arcinoto che non c’è nulla che ecciti quanto il proibito. E in campo sessuale la Chiesa, per altri versi così indulgente, è stata davvero “Magister vitae” vietando quasi tutto e affinando il più potente e sottile degli afrodisiaci («Considerandolo come un peccato il cristianesimo ha fatto molto per l’amore» ha scritto Anatole France). «Non lo fo per piacer mio, ma per far piacere a Dio» così si immolavano le giovani spose quando Santa Madre imperava.

Oggi la Chiesa ha perso quasi tutta la sua presa in campo sessuale, ma il senso di colpa e del peccato è rimasto come un richiamo di sottofondo, non facilmente sradicabile. Chiunque abbia avuto una ragazza che è stata dalle Orsoline, dalle Marcelline o in altri istituti di suore sa i piaceri che se ne possono ricavare. Lei si vergogna e si eccita della propria vergogna. Una miscela esplosiva. Il permissivismo sessuale è una sciagurata creatura tardo-modema. L’amore solare, libero, hippyesco, alla Zabriskie Point, soprattutto se consumato in gruppo e all’aperto, come se si trattasse di un picnic, è, diciamo la verità, di una noia mortale. Scopare ha perso ogni attrattiva, se mai l’ha avuta, da quando da proibito è diventato obbligatorio.

 

Categoria: FocusPoetry

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