“Besame Mucho”, un viaggio nella mente dell’abuser
Ilaria Rebecchi | Lug 08, 2013 | Commenti 0
Dal sito besamemucho.cc/it/ :
Besame Mucho è un documentario incentrato sulla figura dell’abuser, dell’uomo che per trovare e mantenere un proprio equilibrio ha bisogno di andare a scapito della propria compagna, abbassandone l’autostima, limitandone la libertà, facendole del male fisico, umiliandola.
Un mostro, sembrerebbe.
Questa spiegazione ci sembra troppo semplicistica, nessun bambino nasce abuser, lo diventa crescendo per via di storie familiari disfunzionali, ma anche di pressioni sociali alle quali non riesce a fare fronte.
Un abuser solitamente è una persona insicura, con un livello di autostima molto basso, che non raggiunge l’immagine che pensa di dover sostenere. Solitamente si presenta come un principe azzurro, nessuno è abuser al primo appuntamento, anzi, il primo appuntamento sembra un modello da favola tradizionale; l’abuser ti travolge con una carica di amore assoluto ed avviluppante che diventa risucchiante in pochissimo tempo. La neo fidanzata viene travolta da offerte d’amore assoluto, attenzioni continue, gentilezze, pensieri costanti. Ed è questo ciò che l’abuser chiede in cambio. Un amore sconfinato e bulimico, insaziabile, assoluto, sconfinato, impossibile da soddisfare. La violenza nasce lentamente, con piccole manovre manipolatorie, con richieste di piccole rinunce come ad un vestito giudicato appariscente, all’uso del rossetto, a un cinema con le amiche, queste richieste diventano sempre più frequenti e poi diventano proibizioni. E’ la teoria della rana bollita, dove il fuoco viene alzato a poco a poco per far si che la rana non fugga via spaventata dal calore ma vi ci si adatti fino a cottura.
Ciò di cui ha bisogno l’abuser è un controllo assoluto, sui pensieri, sulle azioni, su i desideri di chi gli è a fianco, ne ricerca ossessivamente l’attenzione e presenta tutto questo come affetto.
Col documentario vogliamo tracciare un ritratto di questa patologia e cercare, possibilmente, delle spiegazioni a questo fenomeno, cercare di entrare nei percorsi mentali dell’abuser, per capirne il fenomeno.
Intervisteremo una terapeuta che si occupa di violenza domestica, un avvocato, un rappresentante del dipartimento domestic violence della Nypd, chiedendo di tracciarci un profilo psicologico, legale e di comportamento dell’abuser.
Intervisteremo Noam Chomsky chiedendo di decostruire il concetto di abuso verbale e di spiegare come la parola possa divenire un arma contundente. Lo storico gruppo femminista di Boston che si occupa dagli anni ’70 dei problemi di genere domandando provocatoriamente cosa sia andato storto nel (sacrosanto) movimento femminista se questo problema lungi dall’essersi risolto si è invece esacerbato.
Parleremo con il ministro del Judson Memorial di New York, impegnato nel sociale, nel politico e nella difesa dei diritti umani e un rappresentante di UN Woman, il dipartimento delle Nazioni Unite che si occupa dei diritti e dei problemi delle donne nel mondo.
Faremo delle interviste al dipartimento di studi di genere dell’università di Berkeley in California che affronta il soggetto in termini di internazionalismo.
Altre interviste verranno fatte al Women’s building di San Francisco che riunisce diverse anime sotto uno stesso tetto per occuparsi della salute sociale delle donne.
Intervisteremo associazioni e gruppi di uomini che lottano contro la violenza sulle donne e che ci parleranno dell’identità maschile, che è meno semplicistica e più fragile della sua rappresentazione.
E’ nelle nostre intenzioni intervistare lo staff di Joe Biden, che si è occupato della legislazione in tema di violenza domestica dai primi anni ’90 scrivendo il Violence Against Woman Act.
Ma più di tutti intervisteremo degli uomini, ex abuser, che hanno intrapreso un percorso terapeutico che li ha portati alla consapevolezza ed alla risoluzione del problema con se stessi prima che con la propria compagna e questa è la parte più importante del nostro documentario perché quello dell’abusing non è un meccanismo irreversibile, ma un disordine mentale che può essere riordinato, non un cancro letale che non lascia scampo.
Perché non può sparire questo problema – che è interculturale, trasversale, riscontrabile in ogni classe sociale e, con diverse sfumature, ad ogni latitudine – se non se ne comprendono le cause.
Info sull'autore: Direttore Responsabile art journalist & more