“Chelsea Girls”: la ricerca del piacere secondo Andy Warhol
Ilaria Rebecchi | Nov 14, 2014 | Commenti 0
Andy Warhol, si sa, è una delle icone più importanti sia per quanto concerne la fusione delle arti come oggi la conosciamo, sia per l’esplicita volontà di sconvolgere e al contempo palesare una normalità e una libertà sessuale per la sua epoca ancora distante anni luce, e per questo avanguardistica e tanto sperata.
Fu vicino a personaggi e culture di ogni genere, per desiderio di sperimentazione e per volontà di immortalare nelle sue opere pittoriche, fotografiche, scultoree, meta-teatrali o cinematografiche che fossero, le realtà più disparate della New York degli anni ’60 in primis.
“Chelsea Girls” (1966) è un film composto da 8 episodi su un doppio schermo, tutti ambientati in camere del Chelsea Hotel di New York, interpretati da ragazze e ragazzi, etero, gay, transessuali, bisessuali, in balia della ricerca del piacere o grazie alla droga o ai rapporti sessuali.
Questi interpreti (tutti presi tra la cerchia della Factory di Warhol, da Nico dei Velvet Underground a Geard Malanga, Ondine e l’infelice Edie Sedgwick) vivono qui la loro vita nell’intimità e nel privato in una sorta di avanguardistico docu- reality dove lo schermo diviso a metà serve a confrontare storie parallele.
Warhol non entra però nel profondo dell’anima dei suoi protagonisti, rimanendo su quella superficialità apprende che sempre contraddistinse il suo operato, lasciando apparente libertà di azione e recitazione, lasciando però intravedere la propria mano e un dipinto generazionale tutt’altro che confortante, quasi a simbolo, nell’unione delle due cose, di una preannunciata decadenza in arrivo.
Come fu.
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